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U2 e Mike Portnoy

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La prima band in assoluto che mi ricordo di aver ascoltato sono stati gli U2. Erano il mio gruppo preferito e lo sono ancora adesso anche se ho scoperto e ascolto molti altri generi musicali molto diversi dal loro. Grazie a loro mi sono appassionato alla musica e alla batteria, neanche io so bene il perché dal momento che il loro batterista Larry Mullen Jr. non è certo famoso per la tecnica stratosferica o per la complessità delle parti di batteria nei brani degli U2. Il suo nome infatti non viene quasi mai citato quando si parla di batteristi ma, a mio avviso, credo che il suo pregio sia proprio quello di essere totalmente al servizio della canzone. E’ in grado di creare accompagnamenti perfetti per ogni genere di atmosfera, senza mai mettersi in mostra più del dovuto e lasciando tutto lo spazio necessario agli infiniti effetti di chitarra di The Edge, il tratto più distintivo del gruppo. In Bad, ad esempio, brano contenuto nell’album The Unforgettable Fire, suona solo sedicesimi sul rullante senza cordiera per tre quarti della canzone, mettendo giusto qualche accento qua e là per non rendere piatto l’accompagnamento. E cavolo se funziona, il brano è un continuo crescendo per tutta la sua durata ed esplode in un finale e che trasmette grande emozione.

L’argomento principale dell’articolo però è un altro: Mike Portnoy, storico batterista dei Dream Theater, nonché la mia prima e principale fonte d’ispirazione come batterista. La scoperta dei Dream Theater e del progressive metal mi ha letteralmente folgorato e infatti è il genere che più mi diverto a suonare.

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Non mi dilungo sulla sua carriera e sulle sue caratteristiche perché ne ha già parlato Gabriele nel suo articolo, ma vorrei trattare il suo fill più caratteristico, tanto che viene addirittura definito “fill alla Portnoy”. Consiste in una battuta di trentaduesimi raggruppati di unità da 6 (4 su rullante/tom/timpano e 2 di cassa) che chiude sul levare del quarto movimento con rullante e crash. Il susseguirsi di questi gruppi di 6 note crea un effetto di spostamento rispetto al battere che termina con la chiusura. Un esempio (riportato nell’immagine) si può trovare in Strange Deja Vu dell’album Metropolis part. 2: Scenes from a memory (minuto 4.26) o nel travolgente intro di Honor Thy Father dell’album Train of Thought.

Questi due batteristi non c’entrano quasi niente l’uno con l’altro, anzi sono proprio opposti come modo di suonare, ma è interessante notare come la batteria si può adattare perfettamente a diverse esigenze a seconda del genere musicale.

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